Dall'aurora al crepuscolo... e poi?

Prefazione

La poesia di Sara Cordone scaturisce dalla forza della vita che trascina e travolge, senza la possibilità spesso di coglierne il giusto significato. La ricerca artistica percorre l'anima umana per le vie vertuicali che consentono di guardare dall'alto un mondo che trascorre il tempo in modo frettoloso, immerso in sogni effimeri. Dentro una forte dimensione di disincanto, la poesia scopre così la funzione di raccogliere in equilibiro le esperienze tragiche del mondo. Proprio al fondo della sua ansia interiore Sara trova il senso originario delle parolech scardidano la visione che gli uomini si rappresentano per poter vivere. Proprio la scoperta di un linguaggio autentico, e perciò genuino, agisce sul modno poetico di Sara come le forze della natura.

Mi hai guidato
dove l'indocile cuore del vento
si nasconde nel soffio instancabile
dell'erba che continua
a sedurre la terra
(Inno alla vita).

La musicalità del verso domina armoniosa in un tessuto di racconto nitido e chiaro. La visione delle cose segue spesso l'itinerario incerto dei sogni contro il teatro dell maschere dove tutto è apparenza e fuoco fatuo. l'ampio respiro delle letture classiche, a lungo stratificate e medicate, anima i versi fluenti e sensuali di Sara in un particolare stato di grazia. Contro la nebbia di suoni e parole, la poesia cerca i termini da accogliere e ascoltare nella luce della ragione che non rinuncia a porsi un traguardo per cui vale la pena soffrire e combattere. Contro il nulla, in cui sembra sfumare la cultura contemporanea, Sara accetta la sfida di dire la sua visione del mondo con una forza visionari aunica ed incredibile. Spesso è la lucida disperazione che spinge a rivolgere agli esseri umani l'interrogaztivo:

Vorrei avere il coraggio
di spiegare a tutti
che anche nella mia terra
i bagliori del tramonto
rivestono le ali delle farfalle,
il sussurro della primavera
culla il sonno delle rose,
le parole di un uomo
raggiungono i silenzi di Dio
(Straniero).

Così percorrendo il sentiero del silenzio le parole manifestano la loro usura e la loro incapacità ad esprimere significati. Quando il silenzio ropaga la sua eco, le parole taciono per quell'u-dire, che non è semplicemente "non dire", ma ascoltare. Tuttavia un vero ascolto è tale se lascia l'altro nella sua irriducibile "alterità". Allora le parole non sono più scontate e si sottraggono al logorio dell'impiego abituale, aprendosi al senso che le trascende e che dà loro un'anima estranea. Solo così la poesia può varcare la soglia dell'umano, farsi accoglienza e valorizzazione.

Voglio essere silenzio:
voglio cantare la vita,
voglio cantare la morte,
voglio cantare la Luce
per farne delirio di fiori,
per farne armonia di pace,
per farne riflesso di diamante
(Voglio essere).

Inaffidabile la natura pensante che porta a formulare pensieri che corrodono la stabilità e costringono la conoscenza a infrangersi nel contingente. Solo il poeta riscopre l'importanza della vita e le riconosce il rilievo adeguato. I versi vivono della intuitiva scoperta dei rapporti e delle analogie inquiete del mondo. Dell'inquietudine si fa custode la poesia di Sara:

Mi chiedo
se sia il fiato del tempo,
che travolge la mia vita
con la sua corsa inarrestabile,
ad alimentare le mie paure,
il timore di trovarmi un giorno
incatenata alle solitudini
che mi proteggono ormai da troppi anni
(Inquietudine).

Per questo il poetico è il fondo sincero dell'uomo che sa accogliere quell'estraneità dell'uomo a se stesso e che diventa fecondo spaesamento.

Contro il tempo, in cui sembra che verità e vita non possano coesistere, la poesia di Sara affronta il tema della morte. Le mute epossenti pulsioni della morte cercano la pace e si sforzano di ridurre al silenzio i forti legami con il mondo della natura e degli affetti.

Sono sempre in attesa
che giunga l'oscura signora,
alle sue mani affiderò
tutte le mie paure.
Sono ancora in attesa
che giunga l'oscura signora,
alle sue cure consegenrò
tutte le mie speranze
(L'oscura signora).

La morte non riguarda l'infinita determinazione del tutto, ma quel ritaglio che è l'identità della nostra vita. È l'io che va incontro alla morte intesa come ciò che è radicalmente Altro, incerto, nuvoloso, privo di senso.

Ora che la notte m'incalza,
ora che il silenzio m'avvolge,
vorrei trovare un senso
nel manto dorato del grano,
nella pura innocenza della neve,
ma la fede è tiepida, rassegnata la speranza
(La fine del sogno).
Quando varcherai la porta,
rivolgerò gli occhi verso le nubi,
dove il generoso silenzio è troppo misericordioso
per turbare la purezza del crepuscolo
(L'estremo saluto).

Ma il nostro tempo non è mai veramente nostro. La vita è sempre in debito verso "l'oscura signora". Invano il poeta invoca che la vita "non è fatta per l'oblio", "non è fatta per il nulla". Ma, proprio per l'impossibilità di pensare il nulla e l'obilo, i versi di Sara acquistano sempre più spessore lirico e condividono col sapere panico le forme del sapere poetico. Nel vuoto, che la presenza della morte genera, si apre la fecondità del pensare affettivo, denso dei ricordi che non cessano di incalzare le emozioni. E il vuoto di un'alterità, troppo lontana e straniera, diventa occasione per cercare di familiarizzarsi con il lato incoerente e notturno della terra.

Il profondo nulla
cade come grandine greve
sulla terra arsa,
logorata da secoli immemori
senza rimpianto nè futuro.

Il profondo nulla
plana come aquila ferita
sulla pietra spaccata,
scorticata da artigli irreali
senza consistenza nè forma
(Profondo nulla).

Ma niente è più umano che ipotizzare un senso al di là delle pure pretese razionali. Niente è più naturale che innoltrarsi nei sentieri della speranza. Sottraendosi ai limiti del proprio sapere la poesia di Sara diventa custode della soglia di una casa aperta e inondata dalla luce degli affetti. Il suo linguaggio assume gli accenti dei mistici che invocano il Grande Assente e rubano le parole all'amore.

A custodia del cielo,
veglia l'eternità dell'amore.
La verità spalanca la porta dell'infinito
sulla goccia dell'Universo.
Gli angeli custodiscono
le immemori preghiere del silenzio.
Il crepuscolo declina
nella notte dell'aurora perenne.

Tutto si consuma nel mondo,
nulla si estingue nel Padre
(Certezza).

Custode della poesia è la voce del cuore che con suoni ripetitivi insegue il ritmo dell'invincibile, di ciò che si può dire perchè abita un fondo enigmatico e buio.

Così le tessere del vissuto, troppo faticoso e bruciante, faticano a farsi mediazione razionale che riesca a trovare un bandolo, anche tenue, che dia senso e significato. Meglio la poesia che nel verso inventa la forza della musicalità, cioè la spinta a farsi invocazione e canto. In questo mistero, che "inventa" (trova) le parole giuste, il canto poetico placa le emozioni e armonizza le sofferenze. Ed è così che agli "occhi rassegnati", nel corpo "imprigionato da catene ormai ossidate", un brivido d'amore salva dai "giorni appassiti" e infonde "uno slancio di vita" (All'amore).

Giuseppe Benelli

Presidente della Fondazione Città del Libro Premio Bancarella docente di Filosofia del Linguaggio all'Università di Genova)

Nota dell'autrice

La poesia attinge le proprie parole dai silenzi profondi in cui esse vibrano.

Le parole di chi scrive si versano come pioggia primaverile e ristoratrice nei silenzi di chi legge per generare immagini, emozioni, sentimenti nuovi: questa è la potenza infinita della poesia.

Nell'istante in cui lasciamo liberi i nostri silenzi di gridare, essi divengono parola e la parola si fa ritmo che palpita all'unisono col ritmo vitale del nostro respiro.

Sembra un paradosso affermare che i silenzi gridano; in un toccante dialogo, Dio chiede a Mosè: "PERCHÈ GRIDI COSÌ FORTE?", ma egli taceva.

Kierkegaard, per commentare quest'intenso dialogo silenzioso, ricorda che quanto più profondi sono i nostri silenzi, tanto più essi gridano elevandosi verso il cielo.

Nei pensieri raccolti in quest'opera, che anticipano ed introducono i componimenti poetici, ho cercato di approfondire la mia meditazione sulle tematiche che hanno ispirato le poesie stesse: IL MISTERO DELL'UOMO E DELLA VITA, LA MORTE, L'ALTROVE, che è la dimensione dell'esistenza immortale in grado di porre l'uomo in una situazione del tutto nuova, attuandolo nella propria autentica pienezza.

Credo che la ricchezza della poesia consista nell'esprimere significati profondi attraverso parole semplici, che sappiano tornare all'anima da cui sono state generate.

La poesia non può esaurirsi nella ricerca cavillosa di vocaboli desueti che la renderebbero mero artificio esteriore con il solo scopo di generare stupore nel lettore.

La forma poetica non deve mai prescindere dal significato che esprime; la poesia perfetta, quella che forse nessuno di noi sarà in grado di produrre, è significato inscindibile dalla sua forma, è significato divenuto forma, perché "LA STESSA PAROLA, DETTA O VISSUTA, NON È LA STESSA: SE SOLAMENTE DETTA, È UNA PAROLA SENZA PAROLA, SE ANCHE VISSUTA, È UNA PAROLA CHE SUONA INTERIORMENTE, INCIDE E SCAVA. SONO I COLPI DI SCALPELLO DEL SILENZIO. SE UNA PAROLA NON SI È DAVVERO VISSUTA E SOFFERTA, CREATA, ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA, SE NON SI È PROVATA SULLA PROPRIA CARNE, NON SE NE PUO' PENETRARE IL SENSO VIVO, PROFONDO, ETERNO.".

Sara Cordone

Alcune poesie del libro

Straniero

Sono solo tra un'onda impazzita di uomini
che corrono
verso non so cosa,
che gridano
contro non so cosa.
Guardo fuori dal finestrino del tram,
mentre respiro l'odore forte
di chi passa
senza più ricordare da dove proviene,
senza più sapere dove andare.
La mia terra profumava di vento
e la polvere ricopriva i mattoni
delle case sventrate,
sepolte con le macerie
di mille storie interrotte,
cancellate dal tocco di ali insanguinate.
Nessuno mi chiede chi sono,
né qual è il mio nome,
così difficile da pronunciare,
così inutile da ricordare
per coloro
che sanno solo correre,
che sanno solo gridare.
Vorrei avere il coraggio
di parlare anch'io,
che sono straniero.
Vorrei avere il coraggio
di spiegare a tutti,
a chi mi guarda con sospetto,
a chi fugge i miei occhi,
che possiedo una lacrima
per ogni sogno infranto,
che conservo un ricordo
per ogni vita rubata.
Vorrei avere il coraggio
di parlare anch'io,
che sono straniero.
Vorrei avere il coraggio
di spiegare a tutti
che anche nella mia terra
i bagliori del tramonto
rivestono le ali delle farfalle,
il sussurro della primavera
culla il sonno delle rose,
le parole di un uomo
raggiungono i silenzi di Dio.

Sara Cordone

Tutti mi chiamano

Ti sono accanto,
ma non spaventarti,
fragile rosa appena sbocciata.
Ti sono accanto,
ma non fuggirmi,
piccolo passero appena cresciuto.

Ti prenderò con dolcezza,
senza violenza,
allo stesso modo in cui tua madre
ti porge la sua mano generosa
quando hai timore del buio.
Ti solleverò con delicatezza,
senza rumore,
allo stesso modo in cui tua madre
ti regala il suo sorriso rassicurante
quando hai paura del tuono.

Non penso che tu mi conosca,
non penso che tu mi abbia mai visto.
Quando gli uomini pronunciano il mio nome,
il loro viso diventa di gesso,
grigio come un paesaggio
dimenticato dal sole.
Non penso che tu mi conosca,
non penso che tu mi abbia mai visto.
Il tuo cuore è fiorito
nella fragranza di un'estate
che non invecchierà mai,
che non sarà schiacciata dall'autunno.

Non vorrei portarti con me,
non vorrei interrompere
i tuoi giochi di bambino,
ma non ti farò male.
Non vorrei condurti con me,
non vorrei spezzare
i tuoi sogni di bambino,
ma non ti farò male.

Ora scenderai in un sonno
mai provato,
ora piomberai in un sonno
senza fine.
Prima però devo coprirti
con il mio ampio mantello,
prima però devo guardarti
con i miei gelidi occhi,
prima però devo dirti
che tutti mi chiamano...

Morte.

Sara Cordone

La porta bianca

Ho conosciuto un mosaico di volti
con la medesima espressione di terrore.
Ho incontrato un mosaico di volti
con la medesima parvenza di spettro.
Li ho condotti davanti alla porta bianca,
che solo i prescelti
possono varcare.
Ho scortato automi d'acciaio
verso quella porta bianca
dopo che le sbarre
si richiudevano alle nostre spalle.
Quando il sudore gelato
rigava la loro fronte,
allora mi accorgevo
che accompagnavo degli uomini alla morte,
voluta da altri uomini,
decisa da altri uomini
in nome di una cieca giustizia.
Chi ha sbagliato
deve pagare,
chi ha torturato
deve soffrire,
ma respirando il profumo dei miei figli,
fuori da quest'incubo,
mi sono chiesto
se un essere umano
ha il diritto di spegnere
una vita che non gli appartiene,
una vita che non ha donato.
Sono una guardia
nel folle inferno
di questo carcere
e so che dietro la porta bianca
si lava ogni colpa,
si cancella ogni rimpianto,
si congela ogni sentimento,
lasciando solo orme disperse,
lasciando solo dubbi laceranti,
lasciando solo dolore agonizzante.

Sara Cordone

L'abete

L'abete
sentì uno strano fremito
impossessarsi delle sue membra.
Il gelo paralizzò i rami
stecchiti nello spasimo
del giorno morente.
L'ultimo raggio di sole
condusse per mano la notte
protetta dalla sua greve coperta,
tessuta coi capelli corvini
d'erranti zingare.
Il vento visitò il bosco
dispensando dolci lusinghe.
L'abete
reclinò la chioma
mentre la linfa si faceva ghiaccio.
Le montagne s'inchinarono
al passaggio di farfalle notturne,
che nel segreto mormorio del buio
annunciavano il mistero
della vita che s'addormenta.
L'abete
scivolò via in silenzio,
accompagnato dal monotono concerto delle ombre.

Sara Cordone

Ci incontreremo ancora

Lo so,
ci incontreremo ancora
e sarà come ritrovarsi
nell'energia di un mare palpitante
che appartiene a un mondo nuovo.
Lo so,
ci incontreremo ancora
e sarà come ritrovarsi
nel riflesso di una luce sconosciuta
che appartiene a un cielo notturno.

Guardandoti,
mi ricorderò
che il tuo sorriso è appartenuto
al mio cuore,
è sbocciato in un tramonto
dove i gabbiani tessevano,
con agili ali,
con fili invisibili,
immagini evanescenti,
irraggiungibili nell'immensità dell'orizzonte.
Guardandomi,
ti ricorderai che il mio canto è appartenuto
al tuo cuore,
è penetrato in un respiro
dove la brezza bisbigliava,
con lievi sussurri,
con soffi primaverili,
poesie immortali,
sperdute nella quiete della sera.

Sara Cordone

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